“Il manager è una persona che affronta il cambiamento facilmente e volentieri?”
La risposta è no, non è possibile.
Il cambiamento presuppone l’ignoto, il nuovo e automaticamente infastidisce perché ci spaventa. Il nostro cervello non è predisposto ad un cambiamento improvviso, perché è abituato a fare azioni ripetitive e conosciute, così da poter tenere sotto controllo la performance. È per questo che le persone dovrebbero prima di tutto cambiare mindset, soprattutto da quando la digitalizzazione sta accelerando il passo. Tutti i settori lavorativi sono in continua evoluzione e di sicuro le professioni diventeranno sempre più flessibili. Del resto, la necessità e la voglia di evolvere sono sempre stati nel DNA dell’essere umano; da sempre cerchiamo di facilitarci la vita tramite dei macchinari che riescano ad aumentare la nostra performance o che si occupino di attività ripetitive e noiose. Questa tendenza si rafforzerà ancor di più perché emergono nuovi bisogni e lavori che sono eseguibili solo tramite delle macchine o dei robot ancora più performanti grazie all’intelligenza artificiale.
Lavoratori che svolgono delle attività manuali, ripetitive e di scarso valore aggiunto verranno sostituiti da macchine. Penso per esempio a operai nell’industria o a boscaioli. Ma attenti anche alle attività analitiche che si basano su algoritmi in quanto sono adattissime per i computer che sono migliori analisti rispetto all’uomo. Tutte le attività che hanno a che fare con un certo tipo di intermediazione sono coinvolte in questo processo: nel settore immobiliare o prestazioni nell’ambito del viaggiare, del turismo – e per il dopodomani posso immaginarmi che anche il trading alle borse non verrà più svolto soltanto tramite le banche. Inoltre, tutto quello che concerne il rilievo manuale dei dati e la relativa immissione dei computer con questi viene automatizzato quindi i cosiddetti backofficer dovranno cambiare attività.
La rivoluzione 4.0 coinvolgerà tutte le procedure intermedie. È persino verosimile che sparisca il mestiere del notaio. È proprio questo il motivo per il quale la digitalizzazione crea non solo speranze ma anche tanti timori essendo un cambiamento. L’unico modo per affrontarlo è prepararsi con il giusto atteggiamento mentale.
“Le persone che sono curiose ed aperte e riescono a cavalcare il cambiamento avranno delle chance immense”!
Non c`è nient’altro da fare. Dobbiamo sviluppare un’attitudine di confronto con i problemi prima che diventino troppo virulenti, invece della tipica reazione di eludere le difficoltà. Soltanto le teste umane sono capaci di sviluppare dei pensieri critici, di fare delle vere sintesi, delle interpretazioni, le messe in rete o dei coordinamenti complessi. Ma certamente anche le competenze sociali non sono digitalizzabili: ovunque dove emergono dei contatti fisici ed emotivi, ci vogliono necessariamente delle persone con i giusti atteggiamenti e non dei robot o computer. Questi analizzano meglio di noi, ma solo noi sappiamo gestire tutto quello che concerne la trasversalità ed il livello emotivo. Ci saranno nuove professioni che oggi non sappiamo neanche definire. Una di queste è il ruolo di “data scientist.” Non è soltanto un matematico, ma simultaneamente anche economista e persino psicologo. Una persona che uscirà spesso dal suo ufficio per incontrare gente di altri reparti e discutere sullo sviluppo del business tramite le sue sintesi molto elaborate, scaturite dall’analisi dei suoi algoritmi.
Negli Stati Uniti questo profilo già lavora a pieno regime ed è molto ricercato, basti pensare che ad oggi ne mancano 200‘000 mentre in Europa stiamo solo all’inizio.
Indole multitasking o specializzazione?
Entrambe sono due attitudini necessarie. Nell’ambito della sanità, per esempio, ci vorranno dei medici specializzati su specifiche parti del corpo (ad esempio: l’ortopedico che si occupa solo del ginocchio, oppure l’oftalmologo che opera solo la retina, specialisti di nicchia insomma. Ma dove sono richieste valutazioni generali ed olistiche è necessaria l’indole multitasking dell‘umano, come il direttore di un ospedale o un project manager che è manager, economista e PR allo stesso tempo. Questo varrà per ogni settore lavorativo. La parola chiave resterà sempre “formazione continua “. Anche chi dispone di skills importanti, se non si mantiene aggiornato, si troverà in difetto senza un updating continuo delle proprie competenze, dato che lo sviluppo digitale avanza in modo estremamente veloce. Questa è un’esigenza che deve partire sia dalle aziende che dai collaboratori stessi; si deve trovare quella spinta professionale che agisce a livello personale. Le imprese devono mantenere i corsi di formazione ma anche allargarli all’ambito della psicologia, delle competenze sociali e dei valori – proprio per incentivare l’atteggiamento giusto di cui ho parlato prima. I veri limiti della digitalizzazione concernono l’etica e la sostenibilità: dobbiamo rimanere attenti alla possibilità di una certa diatriba tra l’uomo e le macchine e tenere conto dell’equilibrio sensibile tra il progresso tecnico e il nostro ambiente.
In ogni caso, la risorsa più preziosa rimane l’uomo e le sue competenze, che devono restare al centro di ogni sviluppo evolutivo.