Con executive assessment si identifica una metodologia per la valutazione chiara e completa di un manager.

L’analisi sostanzialmente vuole rilevare:

-se il soggetto è adatto al ruolo o posizione

-se lo stesso ha un potenziale di evoluzione

-se il suo profilo corrisponde a quelli che sono i pilastri della cultura aziendale globalmente intesa.

Un processo di assessment, spesso adeguatamente condotto da professionisti esterni all’azienda, si svolge attraverso molti diversi strumenti integrati tra di loro, i più comuni dei quali sono le interviste individuali (che vanno a toccare ogni aspetto della vita dell’analizzato), i test psicometrici (che anche in questo caso analizzano non solo le competenze logico-cognitive, ma più nel complesso la capacità di relazionarsi e di leadership in generale), i giochi di ruolo (simulazioni, in-basket, …), gli esercizi di gruppo, le referenze e relazioni di tutti i colleghi (siano essi di livello pari, inferiore o superiore).

Quando e come affidarsi a questo strumento di giudizio?

Proprio perché normalmente è un processo affidato all’esterno e costoso, vi si ricorre soprattutto in particolari condizioni e contingenze. Si rivela infatti importante – se non addirittura essenziale – nelle cosiddette fasi di discontinuità, dell’azienda.

In quest’ottica rientrano situazioni di fusione, progetti di acquisizione, riposizionamento strategico, cambiamento del modello di business, piani d’ingresso in nuovi settori di attività o nuovi mercati.

Laddove l’azienda vive insomma una delicata e profonda fase di trasformazione, l’executive assessment va innanzi tutto ad analizzare proprio l’adeguatezza del manager alla vision e alla mission in evoluzione, alla gestione del passaggio, ai nuovi assetti organizzativi e ai nuovi obiettivi.

Scopo dell’executive assessment è realizzare una riflessione puntuale del livello di patrimonio attivo e passivo del proprio capitale manageriale. Permette di conoscere la propria ‘forza’ e quindi ragionare su direzioni e azioni possibili. Del resto però è utilissimo anche per gli stessi manager in quanto aiuta loro a identificare l’area o le aree nelle quali hanno bisogno di introdurre cambiamenti, migliorare le proprie competenze, rinegoziare la propria posizione o chiedere supporto.

Anche da qui passa la rivoluzione del terzo millennio: una mentalità e criteri capaci di affrontare le nuove sfide, avvalersi (e valorizzare) delle giuste Risorse Umane, adottare le flessibilità necessarie ai periodi di ridefinizione, transizione, progresso.

E su questo punto mi piace innestare una delle considerazioni cui tengo di più in questo ambito. Il futuro sarà delle skills e degli atteggiamenti positivi e utili, alla performance individuale e a quella di gruppo. Più che sulle competenze si giocherà sui valori ovvero sulla motivazione e sulla propensione alla crescita, su quelle qualità di senso della responsabilità, onestà, etica che possono sostenere in qualsiasi percorso di formazione, applicazione, miglioramento, delle competenze.

Ecco che un buon manager sarà quello che alle conoscenze unirà la statura e il profilo della personalità ‘vincente’.

Questo non fa che rimarcare la rilevanza di un ottimo processo di executive assessment. Questo non fa che indirizzare le aziende a utilizzare i canali e gli strumenti più opportuni per realizzarlo.